PER LA
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Tutti conoscono quella immane tragedia che l’8 settembre 1943 colpì direttamente l'Italia, trovatasi all'improvviso spezzata in due, sia sotto l'aspetto del controllo militare e della sua malfida copertura istituzionale (soggetta, da entrambe le parti, all’arroganza straniera), sia – e questa fu certamente la conseguenza più triste – nella coesione nazionale, penosamente incrinatasi nell'intimo della coscienza di ogni singolo cittadino.
Da un lato vi erano tutti quelli travagliati da una profonda ed irreversibile crisi di rigetto del fascismo, colpevole soprattutto di averli trascinati in una situazione non più sostenibile, dall’altra quelli convinti di dover continuare a combattere la guerra intrapresa e di onorare fino in fondo gli impegni assunti nell’alleanza tripartita. Pur essendo schierate l’una contro l’altra, entrambe le parti erano accomunate dai più alti ideali perfettamente coincidenti, ancorché contemplati da punti di vista opposti: il patriottismo (il “secondo Risorgimento” degli uni e la lotta “per l’onore d'Italia” degli altri), la difesa contro l’oppressione nemica (da una parte, la brutale occupazione dei Tedeschi; dall’altra, i bombardamenti a tappeto sulle città e su altri obiettivi non militari), la lealtà e la dignità (da un lato la fedeltà al Re, cui i militari avevano prestato giuramento, ed il ripristino delle libertà democratiche; dall’altro la rettitudine nei confronti degli alleati, la coerenza e la salvaguardia dell’onore militare). Naturalmente vi furono – da una parte e dall’altra – anche delle canaglie e dei cinici opportunisti, che approfittarono del disorientamento generale per perseguire finalità tutt’altro che nobili. Ma la stragrande maggioranza degli Italiani pervenne alle proprie scelte con la massima onestà intellettuale, lasciandosi condurre dal proprio intimo senso del dovere, entro i limiti di quanto obiettivamente consentito dalle durissime necessità del momento. E spesso anche ben oltre questi limiti, con un coraggio ammirevole.
Se, dunque, risulta possibile ritrovare delle motivazioni similari e un’indole comune in tutti gli Italiani schierati nei campi contrapposti, appare sommamente iniquo – oltre che ingeneroso – celebrare la ricorrenza della Liberazione come la festa della vittoria della mezza Italia retta e nobile sulla mezza Italia bieca ed ignobile. Molto meglio sarebbe, invece, ispirarsi all’antica norma romana che non riteneva lecita alcuna pubblica manifestazione di gioia per i successi ottenuti in un conflitto armato combattuto contro dei concittadini.
Per quanto ci riguarda direttamente, a distanza di oltre 60 anni da quella lacerante lotta fratricida, si dovrebbe finalmente poter riconoscere che l’intera Italia deve andare fiera di aver felicemente superato la tremenda prova della guerra civile, ovvero quella comune tragedia le cui sofferenze sono state subite da tutti, e da tutti affrontate con eroico coraggio, mitigandone in parte le conseguenze grazie al prevalente senso di umanità della nostra gente, e consentendo infine alla Patria di risorgere a nuova vita, con intraprendenza e rinnovate energie, nel benefico clima della ripristinata libertà e della democrazia.
Una lettura storica così distaccata da ogni residuo rancore ideologico e da ogni recriminazione sugli errori politici e militari commessi da una parte e dall’altra, potrebbe avere per tutti un triplice vantaggio. Innanzi tutto porrebbe al centro della storia il Popolo italiano – cioè quell’entità antica e perenne che è ora “sovrana” dell’odierno sistema democratico – anziché gli effimeri decisori politici e militari, degni o indegni, che si sono alternati durante i 20 mesi di quella straziante sciagura. In secondo luogo, agevolerebbe il superamento dei frustranti sensi di colpa nazionali per la guerra persa e per le ambiguità post-armistiziali, visto che ci abituerebbe ad affermare a testa alta che gli Italiani, nel loro complesso, hanno saputo ammirevolmente superare una prova ben più ardua di quanto sia capitato agli altri belligeranti. Infine, essa consentirebbe di attuare in modo effettivo e credibile quella riconciliazione nazionale che viene sempre più insistentemente auspicata da più parti, ma che non ha finora trovato alcun autorevole artefice.
Ora noi abbiamo la fortuna di avere, proprio in questi anni, il solo Presidente della Repubblica in grado di concretizzare finalmente tale riconciliazione. Ciò in quanto, innanzi tutto, egli mostra di voler davvero essere al di sopra delle parti; inoltre, egli ritiene che la necessità di guardare al futuro vada anteposta al ricordo delle lacerazioni del passato (*); infine, la sua originaria collocazione politica può consentirgli di promuovere il necessario affinamento delle commemorazioni resistenziali (pervenendo a celebrare degnamente la Liberazione dell’Italia, come una festa comune di tutti gli Italiani, nessuno escluso) senza tema di venir tacciato di vicinanza ideologica con gli ex-repubblichini.
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NOTE
Questo testo è stato da me scritto il 9 aprile 2008 nel blog "ROMA AETERNA oggi", istituito allo scopo di inserirvi qualche riflessione su alcune tematiche di attualità, considerate alla luce del prezioso retaggio che ci è stato lasciato dalla Civiltà romana.
(*) Tale atteggiamento è presente anche in politica estera, come si è visto proprio in questi giorni dalle sue dichiarazioni alla stampa in occasione della visita effettuata in Slovenia (14 gennaio 2008): “Pur senza dimenticare le tragiche lacerazioni del passato, dobbiamo guardare e lavorare insieme all'ulteriore sviluppo della costruzione europea, che rappresenta il quadro nel quale collocare il superamento di qualsiasi residua dolorosa incomprensione”. [tratto dal testo ufficiale pubblicato sul sito del Quirinale]